Agatha Christie, il volto più luminoso del romanzo giallo del novecento indaga la natura umana

Ognuno di noi è un potenziale assassino- in ognuno di noi sorge di tanto in tanto il desiderio di uccidere- sebbene non la volontà di uccidere

Proprio questa frase, contenuta nel romanzo “Sipario, l’ultima avventura di Poirot”, può costituire il punto di partenza per sviscerare la brillante produzione letteraria di Agatha Christie, o almeno parte della filosofia che vi fa da fondamento. La celebre scrittrice inglese ha fatto del romanzo giallo il suo cavallo di battaglia per buona parte del secolo scorso: la sua produzione, in special modo la parte di questa che vede gli investigatori Hercule Poirot e Miss Marple come protagonisti, vive infatti di mistero e di intrighi, dove chiunque potrebbe rivestire i panni dell’assassino.

La scrittrice propone con le sue storie una vera sfida aperta al lettore, un gioco appassionante che nasconde, in cuor suo, un’amara riflessione sull’umanità e sull’origine del male nel mondo.

Tralasciando celebri opere come “Assassinio sull’Oriente Express”, “Dieci piccoli indiani” o “Poirot sul Nilo” che, seppur estremamente caratteristiche, sono già estremamente conosciute e già ampiamente trattate, possiamo scavare nel cuore dell’opera letteraria della Christie andando ad analizzare brevemente altre opere, forse meno conosciute, ma ugualmente importanti per farsi un’idea della struttura con cui la giallista britannica ha messo su il suo impero letterario.

Nella mia fine il mio principio

Un giallo atipico che non vede la presenza di un investigatore canonico come protagonista, scritto in prima persona (espediente usato spesso dalla Christie). Il giovane Michael Rogers sogna di acquistare una proprietà, nota come Campo degli zingari per dare il via alla sua nuova vita al fianco di Ellie, la ragazza di cui si è follemente innamorato. Su quella proprietà però, si vocifera gravare una terribile maledizione. Il susseguirsi degli eventi costellata da una serie di delitti porterà verso un’insospettabile finale.

Oltre alla solita sfida proposta dall’autrice per la risoluzione del caso, forse meno presente in questo che in altri, questo romanzo pone al lettore una riflessione sulla natura umana e su come il male possa impadronirsi di colui che lo compie, andando oltre le sue stesse previsioni. In questo romanzo l’elemento sovrannaturale, dato dalla maledizione di cui si dice sia affetto il luogo della vicenda, altro non è che un diversivo per una storia che, per quanto composta da una serie di orrori, di sovrumano non ha niente.

È un problema

In originale “The crooked house”, quest’opera, personalmente la mia preferita tra quelle dell’autrice, presenta un classico caso di omicidio a scatola chiusa (il fatto avviene all’interno di una casa), delle dinamiche familiari corrotte dall’avidità e uno scenario composto interamente da potenziali assassini. Quello che colpisce in quest’opera, è la caratterizzazione dei personaggi, che emerge quasi del tutto dagli scambi di battute tra di loro: ogni personaggio utilizza un registro linguistico diverso tanto da poter capire l’identità dell’oratore di turno anche senza bisogno che venga specificato.

Le indagini, che seguono la morte sospetta del vecchio Aristides Leonides, fanno emergere un quadro familiare fatto di segreti, tensioni e rivelazioni sorprendenti. La risoluzione del caso, data dal susseguirsi di colpi di scena, porta ad un finale amaro e inaspettato, dove il lettore è costretto a constatare che, nonostante i tanti sospetti, la radice del male si nascondeva altrove, dove forse non si voleva ammettere fosse possibile.

Dopo le esequie

Proseguiamo con un’avventura del celebre investigatore belga, forse non una delle più conosciute. Durante la lettura del testamento del fratello, Cora Abernethie afferma, quasi a darlo per scontato, che egli sia stato ucciso. L’affermazione, dapprima considerata poco più di un vaneggiamento, viene presa sul serio quando, il giorno seguente, la donna viene trovata brutalmente assasinata. Una morte incerta, un albero genealogico complesso, un testamento che promette una copiosa eredità: una ricetta perfetta per un giallo intricato che si risolve grazie ad un’intuizione geniale di Poirot, che va così a smascherare un piano ingegnoso che ancora una volta risulta, considerato l’incipit dell’opera, perfettamente plausibile.

Il quadro descritto rivela una profonda sentenza sulla natura umana: una natura spesso incline all’avidità, che si manifesta in uomini connessi da legami determinati da interessi pecuniari, legami che, proprio in nome dei suddetti interessi, sono disposti in ogni momento a rinnegare.

L’assassinio di roger ackroyd

Un tranquillo paesino è teatro di un terribile omicidio, quello del signor Ackroyd, che dà il titolo al romanzo. Seppur in via non ufficiale, Poirot (ormai ritiratosi dalla sua professione di investigatore privato) si prende la briga di condurre delle indagini, accompagnato dal dottor Sheppard, che racconta il susseguirsi dei fatti e che assume il ruolo di assistente nelle indagini. L’espediente della prima persona gioca qui un ruolo fondamentale alla riuscita del racconto.

Solo arrivando alla fine, con la rivelazione della verità, il lettore si renderà conto di quanto ingegnosa sia stata fin dall’inizio la scrittura del romanzo, che è qui la parte migliore dello stesso: una scrittura che racconta e allo stesso tempo nasconde i fatti, che gioca lealmente con il lettore, riuscendo a descrivere tutto senza far trapelare quelle informazioni che saranno svelate solo con la conclusione dell’opera.

Poirot e la strage degli innocenti

Come trovare il colpevole quando il crimine è così atroce? E come farsi un’idea dell’assassino davanti ad un atto tanto disumano? Sono due quesiti emergono spontaneamente dalla lettura di questo romanzo, ambientato durante la notte di Halloween, nella quale le consuete maschere non saranno altro che un diversivo per la mostruosità che sta per avvenire.

Una bambina, di appena tredici anni, che poco prima si era vantata di aver assistito a un omicidio, viene trovata uccisa durante la tradizionale festa del 31 Ottobre. Le indagini, che vedono ancora una volta Poirot protagonista, porteranno alla luce una storia di violenze passate che si intreccia perfettamente con il terribile omicidio della festa di Halloween.

Sipario: l’ultima avventura di poirot

Proprio dove tutto è iniziato, nella grande tenuta di Style Court, scenario della prima avventura, si conclude il cammino del celebre investigatore belga, nonché il cammino editoriale della Christie. Poirot, ormai in sedia a rotelle riceve il vecchio amico Hastings, con ragioni non solo conviviali. L’investigatore infatti, nonostante la malattia, è sulle tracce di un pericoloso assassino. Dopo l’arrivo di Hastings avviene un omicidio che Poirot ricollega ad una serie di altri delitti, secondo lui ad opera dello stesso assassino.

Con un giallo complesso, dai risvolti imprevedibili e carico di elementi nostalgici che riportano alla memoria gli eventi raccontati nel primo libro, Agatha Christie porta a compimento la storia del suo personaggio più iconico, senza tralasciarne i tratti psicologici, dando alla serie un degno epilogo. Un romanzo che, forse più di tutti, fa suo il mantra che costituisce il vero fil rouge delle opere dell’autrice: “Chiunque – e qui ancora più che nei precedenti è bene sottolineare il chiunque – può essere un assassino”.

L’antropologia di Agatha Christie: un’umanità di potenziali assassini

Le opere analizzate sono solo alcuni esempi del filone che ha reso l’autrice tra le più prolifiche e amate del secolo scorso. Da tutte queste emerge non solo una consueta sfida al lettore: quella che consiste nel seguire i protagonisti sulle tracce dell’assassino fino a rintracciarlo, ma vi è anche una tanto implicita quanto fondamentale riflessione sulla natura umana. I prototipi di uomo che la Christie presenta al lettore sono caratterizzati da una intrinseca tendenza al male, e proprio questo elemento sembra essere caratteristica imperante dell’uomo nel panorama letterario della giallista.

Il Male, inteso come propensione a delinquere e, il più delle volte in questi racconti, a uccidere, serpeggia in ogni contesto: dalla tenuta di Styles Court, alle piramidi che accompagnano la traversata sul Nilo, ai viaggi in treno o in aereo, all’ambientazione esotica di Gerusalemme, alle festività come Halloween o Natale. Contesti del tutto diversi, ma accomunati da un solo elemento: la presenza dell’uomo. Ed è proprio nella presenza di quest’ultimo che va cercata la risposta: l’animo umano nasconde una crudeltà profonda che fa di ognuno un potenziale assassino. Potremmo dire che, come riportato in apertura, l’istinto di uccidere sia presente in chiunque, ma che spesso rimanga controllato, senza “uscire allo scoperto”.

A questa antropologia così fortemente negativa, si contrappone però un altro elemento: il più delle volte, con rare eccezioni, gli assassini di Agatha Christie sono mossi da moventi chiari e precisi, che sono poi quelli che permettono la corretta ricostruzione dei loro crimini ad opera degli investigatori (professionisti o improvvisati a seconda dei casi).

Dunque la tendenza alla malvagità è frutto di condizioni sociali ben determinate, che per lo più rientrano nel campo economico o sociale. Non è un caso che gli scenari dei delitti siano quasi sempre ambienti borghesi, dove la brama di ricchezza soppianta i sentimenti e gli affetti familiari, dove i rapporti umani sono relegati a strumenti per conseguire beni materiali. Sono il denaro e l’ambizione di potere a corrompere l’uomo andando a risvegliare quell’istinto omicida che, seppur in minima parte, giace nel cuore di chiunque (sempre in accordo con quanto propone l’autrice).

Il Male sembra essere quindi una condizione inestinguibile della vita umana, una caratteristica preponderante dell’uomo, destinata a prendere possesso di colui che se ne lascia corrompere. L’origine del male non è quindi da ricercare in elementi esterni quali maledizioni o elementi soprannaturali (con cui la Christie gioca spesso) il male è radicato nell’uomo, pronto a uscire non appena se ne presentino le condizioni. Si tratta di quella “spaccatura nell’animo umano” che Poirot dichiara di aver visto nell’epilogo di Assassinio sull’Oriente Express, una spaccatura che resta sempre in agguato, celata nell’ombra.

Resta in ogni caso un’ultima grande domanda, che, leggendo le opere di Agatha Christie, non può non essere portata alla luce: con le giuste condizioni e le giuste motivazioni, potremmo tutti essere assassini? Se il seme dell’omicidio è presente in ognuno di noi, coloro che non hanno mai ucciso, sono stati capaci di dominarlo, o semplicemente non hanno ancora trovato il loro movente?

-Federico Manghesi

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