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Scienza: Una cuffia in grado di leggere la mente 5 (1)

Un gruppo di scienziati, del Wyss Center per la Bio e Neuroingegneria di Ginevra, guidati dal neuroscienziato Niels Birbaumer, hanno realizzato una cuffia di elettrodi in grado di “leggere” nella mente. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Plos Biology ed ha dato la possibilità a quattro pazienti, tre donne e un uomo di età compresa tra 24 e 76 anni, in fase terminale di SLA, di rispondere con un “si” o con un “no” a delle domande, tramite un’interfaccia cervello-computer. Le persone prese in esame, affetti da Sla o in condizioni analoghe per altre patologie sono definite locked-in (“chiusi” dentro il proprio corpo): essi sono paralizzate o non in grado nemmeno di muovere gli occhi ma coscienti e in grado di ricevere ed elaborare segnali sia visivi che uditivi ma impossibilitati a comunicare con il mondo esterno. I ricercatori e gli scienziati per molti anni hanno cercato di trovare un modo per migliorare la vita di queste persone senza però mai arrivare ad un risultato definitivo. L‘interfaccia uomo-computer è in grado di tradurre segnali del cervello in risposte comprensibili. Sono state sottoposte delle domande personale la cui risposta prevedeva solo un “si” o un “no”, di alcune domande la risposta era conosciuta dai ricercatori come ad esempio “sei nato a Berlino” altre invece erano di tipo aperte ad esempio “sei felice”. Nel frattempo che il paziente pensava alla risposta da dare il dispositivo misurava i cambiamenti sia dell’ossigenazione del sangue sia dell’attività elettrica del cervello, allenando il sistema ad interpretare il segnale come un “si” o un “no”. È stata usata dagli scienziati l’interfaccia che si basa sulla “spettroscopia funzionale nel vicino infrarosso”, che è in grado di catturare il pensiero del paziente decifrare e inviarlo al computer. Questo studio è in grado di dimostrare che i pazienti sono […]

Creato il primo embrione “ibrido” uomo-maiale: speranza per i trapianti 4 (1)

Negli Stati Uniti, in California, il Salk Institute of Biological Studies ha condotto un nuovo progetto di ricerca, guidato dal biologo Juan Carlos Izpisua Belmonte. La ricerca riguarda la creazione di un embrione uomo-maiale (“ibrido”), nato dall’unione di cellule staminali umane e suine,. Il lavoro è stato descritto sulla rivista Cell lo scorso 26 gennaio. Il progetto mira alla possibile produzione di organi trapiantabili. Questa ricerca, risultato di un lungo lavoro di ingegneria genetica, ha come scopo la possibilità futura di avere a disposizione un maggior numero di organi umani funzionanti. Una speranza per le tante persone in attesa di un trapianto di organi. Il ricercatore Juan Carlos Izpisua Belmonte, professore del Salk Institute of Biological Studies, ha affermato che: “Questo è un importantissimo primo passo verso lo sviluppo di embrioni animali con organi umani funzionanti”. Ha inoltre aggiunto che :“L’obiettivo finale è produrre tessuti o organi funzionanti trapiantabili, ma siamo ancora lontani”. Perché è stato creato il primo embrione “ibrido” uomo-maiale Gli scienziati americani hanno introdotto le cellule staminali umane nell’embrione di un maiale e poi impiantato nell’utero di una scrofa per farlo crescere. Un mese dopo (primo trimestre di una gravidanza di un maiale) le cellule staminali si erano sviluppate formando organi e tessuti tra cui cuore, fegato e neuroni. L’embrione detto “chimera” era inefficiente e gli scienziati lo hanno eliminato per evitare che nascesse un misto umano-animale. Sono stati esaminati 1.500 embrioni di maiale. La ricerca è durata quattro anni: un periodo molto lungo per via della complessità degli esperimenti. Quindi attualmente l’esperimento è solo riuscito a metà. Il ricercatore della Stanford University in California, Hiromitsu Nakauchi, ha dichiarato che ciò che è stato ottenuto dalla ricerca è un primo passo. Il numero di cellule umane all’interno degli ibridi maiale-uomo, però, sono ancora troppo basse e quindi […]

Muse, museo della scienza che vale l’oro della sostenibilità 4.6 (7)

Il 27 luglio 2013 è stato inaugurato, a Trento, un nuovo prestigioso edificio, il Muse, disegnato dal noto architetto Renzo Piano. Realizzato nell’ex area Michelin, il nuovo Museo della scienza si trova tra lo storico palazzo delle Albere e il nuovo quartiere residenziale progettato sempre da Rpbw, a pochi metri dal fiume Adige e separato dal centro storico a causa della ferrovia. Attraverso strumenti studiati appositamente per tutte le età e per i diversi livelli culturali, il Muse descrive l’ambiente alpino in tutte le sue sfaccettature, soffermandosi su temi di interesse mondiale, come lo sviluppo sostenibile e la conservazione della natura. Il museo nasce, dunque, da un’attenta analisi del contesto in cui è stato collocato. Spazi funzionali racchiusi nel Muse Strutturato su 7 piani (5 in luce e 2 interrati), si estende su una superficie di 5000 metri quadrati. Di questi, 2.700 mq sono dedicati alle mostre permanenti, 780 mq alle esposizioni temporanee, 700 mq ad una serra tropicale, 100 mq ad uno spazio per bambini e 680 mq a mostre istantanee e a eventi culturali. Scendendo più nel dettaglio, possiamo riunire le varie funzioni del Muse in cinque gruppi principali: – funzioni pubbliche: ne fanno parte tutti quegli spazi accessibili al pubblico, ma non direttamente legati alla funzione museale espositiva. Tra questi c’è sicuramente la lobby di ingresso. Pensata come una sorta di piazza coperta, rappresenta il naturale prolungamento del principale asse pedonale pubblico del nuovo quartiere. Attraversandola, è possibile raggiungere lo spazio verde di fronte al Palazzo delle Albere. Vi è poi la Biblioteca/Mediateca, situata al piano terra, la cui funzione è completata mediante uno spazio di deposito al livello -1. Altri spazi facenti parte di questo gruppo sono: la sala conferenze di 100 posti, con relativo spazio foyer al livello -1 e la caffetteria al piano terra, con affaccio diretto sulla lobby […]

Homo Naledi – scoperto in Sudafrica nuovo ominide 4 (1)

Scoperta nuova specie umana è l’Homo Naledi, con caratteristiche sia primitive che moderne, condotta da un gruppo di scienziati internazionali che va a stravolgere la nostra storia e l’evoluzione dell’uomo così come la conoscevamo. Tale scoperta è avvenuta in una grotta a 90 metri di profondità all’interno del Rising Star, sito archeologico a circa 50 km da Johannesburg, patrimonio mondiale dell’Unesco L’annuncio è stato dato dall’Università of Witswaterstrand di Johannesburg, dalla National Geographic Society e dal Dipartimento per la Scienza e la Tecnologia/National Research Foundation del Sudafrica ed è stato pubblicato dalla rivista scientifica eLife. E’ stato ritrovato un nuovo ominide che si posizionerebbe nella scala dell’evoluzione umana tra i primi bipedi e l’homo erectus e in base alle prime ricostruzioni avrebbe sembianze umane molto primitive. Il gruppo di ricercatori che ha condotto i lavori dichiara: «Una svolta nella ricerca della nostra evoluzione». La nuova specie umana è l’Homo Naledi, con caratteristiche sia primitive che moderne. Il suo encefalo è molto ridotto e simile a quello di un gorilla, i denti abbastanza simili ad alcune specie primitive del genere Homo, le spalle come quelle di grandi scimmie e un busto ancora in parte piegato, simile a quello di una scimmia. Di corporatura snello, alto circa un metro e mezzo con un peso di circa 45kg e la struttura dei piedi è quasi identica alla nostra. Le mani invece sembrano essere adatte all’utilizzo di utensili ma le dita sono molto curve e questo fa supporre che fosse molto bravo ad arrampicarsi. Le operazioni di recupero dei resti non è stata semplice, per via della conformazione delle grotte del sito archeologico. Erano in una cavità accessibile solo tramite un pozzo stretto e sono stati fatti entrare un gruppo di sei ricercatori molto magri attraverso un cavo ottico di 3.5 chilometri. L’operazione si è […]

Biocarburante con uva – Nuova ricerca australiana 5 (1)

Il mondo dei biocarburanti è in continua espansione e la ricerca scientifica sta creando diverse soluzioni innovative per produrli. Alcuni ricercatori dell’università australiana di Adelaide hanno condotto uno studio, hanno verificato che è possibile produrre biocarburante con uva o meglio con i suoi scarti , usando dell’uva di qualità Cabernet-sauvignon e Sauvignon Blanc, è possibile ricavare del carburante, tale studio è stato pubblicato in un articolo dalla rivista Bioresource Technology. Gli studiosi hanno constatato che facendo fermentare mille chilogrammi circa di vinacce, la buccia dell’uva comprensiva dei vinaccioli, si può ricavare 400 litri circa di bioetanolo. Il bioetanolo può essere usato, in una certa percentuale, come benzina per i veicoli ed è un ottimo combustibile per alcuni tipi di camini. Biocarburante con uva in Italia I paesi, grandi produttori di vino, come l’Italia, la Spagna e la Francia, hanno una produzione media di oltre 13 tonnellate di vinacce ogni anno, difficile e costose da smaltire. L’Italia, prima nazione al mondo nella produzione di vino, potrebbe essere in grande vantaggio per la produzione di biocarburante con uva, ogni anno deve smaltire diverse centinaia di migliaia di tonnellate di vinacce. Grazie alla scoperta degli scienziati australiani le vinacce potranno diventare una grande risorsa producendo biocarburante con scarti d’uva, carburante non inquinante.Una delle studiose australiani dello studio sulle vinacce, Kendall Corbin, ha dichiarato: “Utilizzare le biomasse vegetali per la produzione di biocarburanti liquidi può essere difficile a causa della sua natura strutturalmente complessa, che non è sempre facile da scomporre. La vinaccia ‘è disponibile senza difficoltà, può essere ottenuta a buon mercato ed è ricca del tipo di carboidrati che vengono fermentati facilmente”. Quindi presto il biocarburante ricavato dall’uva potrebbe essere una realtà e un grande vantaggio per l’talia.

Kepler 452b Scoperto un pianeta come la terra 4.5 (2)

Una nuova scoperta fatta dalla Nasa, un pianeta come la Terra, l’annucio è stato fatto il 23 Luglio 2015 dallo scienziato John Grunsfeld. E’ un corpo celeste gemello vicino al nostro pianeta, più anziano, più grande ed è il più piccolo pianeta mai trovato che si trovi in prossimità della zona abitabile in orbita attorno a una stella di tipo G2, come il nostro Sole. Il nome con cui è stato chiamato l’esopianeta è Kepler 452B, dal telescopio spaziale Kepler della Nasa che lo ha scoperto, ed è il primo pianeta simile alla Terra o meglio a come è stata, rispetto agli ultimi individuati, che orbiti attorno a una stella simile al Sole a una distanza tale per poter ospitare acqua allo stato liquido anche se la stella a cui ruota intorno è più vecchia del nostro Sole di circa un miliardo e mezzo di anni in più. Jon Jenkins, capo analista dei dati provenienti dal telescopio della Nasa, ha dichiarato che: “Gli anni su Kepler 452B sono della stessa lunghezza che qui sulla Terra e ha trascorso miliardi di anni intorno la zona abitabile della sua stella. Il che significa che potrebbe aver ospitato vita sulla sua superficie ad un certo punto, o potrebbe ospitarla ora”. Kepler 452b il pianeta simile alla terra Gli esperti spiegano che Kepler 452B ha un’età di 6 miliardi di anni (1,5 miliardi di anni più del nostro Sole) ha la stessa temperatura, il 20% più luminoso, il suo diametro è del 10% più largo, è il 60% più grande rispetto alla terra, il suo anno dura 385 giorni soltanto del 5% rispetto alla nostra, si trova nella costellazione del Cigno (a 1.400 anni luce di distanza) e nonostante la composizione della sua massa ancora non è stata determinata si presuppone che possa essere rocciosa. […]

Yves Rossy è Jetman, l’uomo volante 3.7 (3)

Yves Rossy è un aviatore e inventore svizzero, soprannominato Jetman. Nel 2006 è stato il primo uomo nella storia dell’aviazione a volare agganciato ad un’ala a reazione fissata sulla schiena. Le ali sono in lega di carbonio lunghe 2 metri e mezzo fissate alla schiena, dal peso di 55 kg con 4 piccoli motori a reazione, la fusoliera di questo aereo in miniatura è il suo stesso corpo. Il 26 settembre 2008 alle 14h19, Yves Rossy, detto Jet Man o Fusion Man, effettuò la traversata della Manica con la sua ala a reazione, si gettò da un aereo e scese in picchiata per parecchie centinaia di metri a quasi 300 km/h prima di stabilizzare la sua ala e dirigersi a circa 200 km/h in direzione delle coste inglesi per raggiungere un campo vicino dopo 9 minuti e 7 secondi di volo. I 32 litri di cherosene stoccati nelle ali hanno permesso di alimentare i quattro reattori abbastanza a lungo da permettere il collegamento tra Francia e Regno Unito, 35 chilometri. Yves Rossy – video mentre attraversa la manica volando Da allora ha realizzato una nuova ala dove le migliorie hanno coinvolto grandemente la stabilità e il controllo. Altra Impresa di Jetman con le sue ali a reazione è stato lo spettacolare volo nel Grand Canyon. Rossy, il 10 maggio 2011, si è lanciato da un elicottero a 2.500 metri di quota sopra il Grand Canyon, in Arizona, compiendo un volto di 8 minuti a oltre 300 km/h tra le gole più famose del mondo, conclusa atterrando con il paracadute sul fondo del Grand Canyon. Terminata l’impresa del volo ha dichiarato: “Il mio primo volo negli Stati Uniti rimarrà una delle esperienze più memorabili della mia vita”, “non solo per lo spettacolare scenario del Grand Canyon ma per l’onore di aver volato sulle terre sacre dei Nativi Americani. Ringrazio Madre Natura e […]