Editoria in epoca fascista
In quest’articolo ti farò un quadro generale della situazione dell’editoria italiana durante il fascismo, mostrandoti con quali mezzi il regime ha tentato di controllare, soprattutto in ambito legislativo, tutto ciò che veniva pubblicato nel nostro Paese a partire dal secondo ventennio del Novecento.
Mi concentrerò sui provvedimenti (norme, censura fascista, bonifica libraria) che hanno gradualmente soppresso la libertà di stampa e di espressione.
Una fonte preziosa per l’analisi di questo argomento è Il Novecento dei libri di Irene Piazzoni, pubblicato l’anno scorso (2021) dalla Carocci editore.
Editoria di propaganda
Una funzione importante svolta dall’editoria negli anni del fascismo è quella di propaganda.
I protagonisti dell’editoria all’inizio degli anni ’20 sono, infatti, i cosiddetti “partiti-editori”, case editrici diretta emanazione dei partiti politici, in funzione propagandistica: in prima linea, la Società editrice socialista: Avanti!, emanazione del PSI, la quale pubblica opuscoli, pamphlet, opere pacifiste, e denuncia le violenze perpetuate dal fascismo, con tanto di fotografie a testimonianza; sul fronte comunista, la Libreria Editrice del PCI; su quello repubblicano, la Libreria Politica Moderna che, prima di chiudere i battenti, anima anch’essa la lotta antifascista.
Dall’altra parte, a partire dal 1919, iniziano a nascere, soprattutto a Milano, le prime case editrici fasciste o filofasciste: il Popolo d’Italia, con la collana emblematica Biblioteca di Propaganda e Cultura fascista; il Primato Editoriale; la ALPES, che dal 1923 inizia a pubblicare i discorsi di Mussolini.
A queste si aggiungeranno, successivamente, le sigle militanti, attive soprattutto a Roma: la Libreria del Littorio, Augustea, Edizioni Roma, la Pinciana … tutte case editrici che varano collane fascistissime, permettendo la circolazione di opere, alcune delle quali veri e propri manifesti dell’ideologia fascista.
Editoria come “cattedra”
Dopo il 1922 (anno della marcia su Roma) molti editori antifascisti sono costretti a modificare la loro strategia editoriale, smettendo di interessarsi alla saggistica politica, per dedicarsi alla saggistica culturale, storica e, infine, alla letteratura: è il caso, ad esempio, della Casa Editrice Sociale di Monanni, il quale, dopo che la sede della sua sigla è stata presa d’assalto dalle squadre fasciste, pubblica esclusivamente opere di narrativa.
Dopo il 1925 la maggior parte degli editori italiani si allinea ormai al regime: le sigle all’opposizione sono costrette a chiudere o a ridimensionare drasticamente la loro strategia editoriale.
Nel 1932 Franco Ciarlantini, presidente della Federazione nazionale Editori, e proprietario della ALPES, tiene un discorso agli editori, da cui emerge come le case editrici italiane si siano ormai schierate al fianco del regime; un regime che mostra un grande interesse per l’editoria e questo perché quest’ultima è importantissima per la formazione del consenso nei confronti dell’ideologia dominante.
L’editoria viene definita da Ciarlantini “una cattedra”: gli editori svolgono la stessa funzione dei maestri, dei preti e dei genitori che educano i figli; l’editoria, pertanto, deve essere finalizzata a formare cittadini nuovi, entusiasti sostenitori di Mussolini e del regime. Questi “nuovi cittadini” sono soprattutto i giovani che, in futuro, diventeranno soldati.
Strategie di controllo della stampa e dei libri
Veniamo all’argomento principale di questo articolo.
Quali sono le strategie messe in atto dal regime fascista per controllare la stampa e i libri?
Il fascismo agisce soprattutto nel quadro della legislazione del nostro Paese, promulgando norme che costringono gli editori a pubblicare solo ciò che è conforme ai dettami del regime; poi c’è la censura.
Soppressione della libertà di stampa
Prima di occuparsi dei libri, il fascismo colpisce innanzitutto la stampa. I giornali sono molto più pericolosi dei libri e questo perché i libri, alla fine, non hanno un grandissimo mercato a quest’altezza cronologica: gran parte degli italiani è analfabeta o povera, dunque impossibilitata all’acquisto di libri; nel Sud Italia, poi, scarseggiano biblioteche, librerie, edicole, tutti preziosi canali di distribuzione del libro.
Dunque, la prima stretta riguarda la stampa.
Tra il 1924 e il ’26 viene soppressa la libertà di stampa: da questo momento, non è più ammessa la circolazione di idee divergenti rispetto a quelle sostenute dal fascismo. I giornali sono costretti a indicare, sulla prima pagina, l’anno dell’era fascista. A partire dal 1922 è iniziata una nuova epoca. Il passato è lasciato alle spalle e ciò che conta è solamente il presente e il futuro del regime: per questo motivo iniziamo a trovare diciture come “quarto anno dell’era fascista” (che corrisponde al 1926, quattro anni dopo la marcia su Roma).
L’inizio della censura
Nel 1923 viene creato l’Ufficio Stampa della Presidenza e del Consiglio con il compito di controllare tutti i quotidiani e anche tutti i libri pubblicati (per questi ultimi, però, non si tratta ancora di censura preventiva, che scatta soltanto undici anni dopo). L’Ufficio Stampa si occupa perciò della censura: tutto ciò che circola deve essere sottoposto al controllo di questo organismo.
L’imposizione del libro di Stato
Il primo provvedimento che riguarda propriamente l’editoria è l’imposizione del libro di Stato. Nel 1928 il ministro della Pubblica Istruzione sostiene che i libri scolastici debbano tutti essere sostituiti perché non sono conformi all’ideologia fascista, perciò non raggiungono lo scopo di formare le coscienze degli “italiani nuovi”.
Gli individui devono essere indottrinati sin dalle scuole elementari e per farlo occorre un libro unico che renda conto dei cambiamenti apportati dal regime, mostrando come la storia è cambiata. La legge del 1929 obbliga l’adozione del libro di Stato sia nelle scuole pubbliche che in quelle private. Questo manuale è scritto direttamente dal ministero e stampato dagli editori maggiormente legati al regime (a partire da Mondadori e Paravia)
Si tratta di una legge disastrosa per tutte quelle case editrici che, fino a quel momento, si erano occupate di editoria scolastica: questi editori (Bemporad, Vallardi … ) non hanno più margine d’azione. Lo stesso Ciarlantini– che, ricordiamolo, è sia un uomo di apparato che un editore a sua volta – scrive una lettera a Mussolini cercando di fargli capire come questo provvedimento mandi in rovina molte case editrici.
È tutto inutile: la scuola è troppo importante per il fascismo ed è indispensabile plasmare le menti dei giovani.
Il controllo delle biblioteche
Nello stesso anno, con l’aiuto dei direttori delle scuole, si spolverano gli scaffali delle biblioteche, eliminando tutti quei libri contrari all’ideologia fascista.
Nel 1932, l’Ente Nazionale per le Biblioteche Popolari e Scolastiche inizia a controllare tutto ciò che viene acquistato dalle biblioteche: nel corso dell’anno scolastico, i direttori scolastici stilano un elenco di libri considerati idonei per la formazione di una coscienza intrisa di ideali fascisti e le biblioteche sono costrette a selezionare i testi da acquistare da questa stessa lista.
La censura preventiva
Arriviamo al 1934, anno di introduzione della censura preventiva per i libri, che scatta proprio in seguito alla pubblicazione da parte della casa editrice Rizzoli di un libro, Sambadù, amore negro che ritrae sulla copertina due amanti di colore che si abbracciano.
Fino a questo momento, la censura si applicava solo ai testi già in circolazione; ora, un libro per essere pubblicato deve ricevere il nulla osta da parte del regime.
L’anno dopo viene creato il Ministero per la Stampa e la propaganda (noto anche come Ministero della Cultura Popolare). Il primo ministro, Edoardo Alfieri, obbliga al sequestro di tutte le opere contrarie al dettame del regime.
Il problema è che il Ministero, da solo, si accorge subito di non riuscire a controllare tutto; perciò, viene creata una divisione, composta da una quarantina di persone, con il compito di leggere i testi sottoposti a censura preventiva e occuparsi anche di coloro, allineati al regime, che segnalano opere che sembrano non idonee.
Per quanto riguarda la narrativa, cosa veniva censurato? Venivano censurati i libri erotici e sensuali, quelli considerati veicolo di perversione e immoralità, i testi in cui si parlava di aborti e suicidi, le opere pacifiste e anti-razziste, oltre, ovviamente, ai temi antifascisti.
La bonifica libraria e le leggi razziali
Non è finita qui. Nel 1938 viene creata la Commissione per la bonifica libraria, oltre alla promulgazione delle leggi razziali. Che cos’è la bonifica libraria? Un provvedimento atto a eliminare dalla circolazione soprattutto gli autori ebrei ed ebraizzanti.
Gli editori sono costretti a stilare una lista di autori le cui opere non sono affatto gradite in Italia; si individuano circa novecento nomi, in maggioranza di ebrei, i cui testi vengono tolti dal mercato. Nella Germania di Hitler troviamo la medesima situazione, con la differenza che i nazisti bruciano i libri proibiti nelle piazze, mentre in Italia non abbiamo di questi roghi.
La bonifica libraria colpisce anche i libri per bambini, molti dei quali vengono assolutamente sconsigliati, giudicati dannosi per la crescita dell’individuo: i fumetti, le fiabe, testi come Mary Poppins, Alice nel paese delle Meraviglie . . . e questo perché, a detta del fascismo, queste opere insegnavano ai ragazzi a fantasticare troppo, a perdersi con la testa tra le nuvole, mentre, invece, avrebbero dovuto tenere i piedi ben ancorati al terreno, alla realtà.
Le leggi razziali hanno segnato il declino di case editrici storiche: pensiamo alla fiorentina Bemporad, poi trasformata nel Marzocco; alla milanese Treves, rilevata dalla Garzanti nel 1939; alla modenese Formiggini, il cui fondatore, Angelo Fortunato, si toglie la vita pubblicamente, in un clamoroso gesto di protesta, sotto il silenzio generale del mondo editoriale.
Rapporto tra editori e regime
Qual è stato il rapporto tra gli editori e i vertici del regime?
Abbiamo visto come nell’editoria durante il fascismo, il regime sia intervenuto severamente, promulgando norme restrittive, opprimendo, dall’alto, le case editrici. È però interessante notare come il rapporto tra editori e regime sia stato spesso ambiguo. Irene Piazzoni parla, a questo proposito, di una “sintonia ambivalente”, proprio perché sia gli editori che il regime hanno sempre cercato di fare ciascuno il proprio gioco.
Durante il ventennio fascista, gli editori si sono sì allineati, ma ci sono stati dei momenti in cui hanno pubblicato opere sicuramente non antifasciste, ma non proprio in armonia con il dettame del regime. Pensiamo alla stessa ALPES, sigla militante, che pubblica i discorsi di Mussolini, ma nel 1929 non tarda a dare alle stampe Gli indifferenti di Moravia, un testo considerato dal fascismo portatore di una morale perversa.
Accanto a libri perfettamente in linea con il regime, gli editori hanno continuato a pubblicare i grandi classici, soprattutto i romanzieri ottocenteschi, italiani e stranieri (Dumas, Hugo, Zola, Dostoevskij, Conrad, Verga, De Amicis . . .), violando con gli stranieri uno dei principi cardine del fascismo: la nazionalità (il dare preminenza alla letteratura nostrana).
Una letteratura intrisa di ideali fascisti è stata tanto predicata ma, nei fatti, poco praticata dagli editori, anche perché non c’era nemmeno un pubblico pronto a recepirla.
CONCLUSIONE
Il ventennio fascista ha cambiato le sorti dell’editoria italiana.
Il regime ha utilizzato tutti i mezzi in suo possesso per sopprimere la libertà d’espressione, plasmare la mente dei giovani italiani, far veicolare un’idea della storia affatto imparziale, presentando Benito Mussolini come una figura da idolatrare, e promuovendo un’immagine ideale, falsa, del nostro Paese; un Paese povero, ridotto in miseria, nonostante i cartelloni pubblicitari raccontassero una storia diversa.
Ci sono individui che augurano l’avvento di una nuova dittatura, considerandola la forma di governo migliore che ci possa essere, una soluzione efficace per tutti i mali causati da una democrazia fallimentare.
Io, sinceramente, non vedo come si possa vivere bene senza avere nemmeno il diritto di esprimere la propria opinione.
Argomento che molti giovani non comprendono ora. Anzi forse c e’ anche troppa libertà di pensiero ora e viene usata anche male. e non solo dai giornalisti intendo ma da chiunque vuole esprimersi, guardate il mondo dei social cosa è diventato…. tanta spazzatura. forse un po di censura bisognerebbe farla