Quattro capitoli, scanditi da altrettante fasi della terra che la portano infine a trasformarsi in… piatta, ci separano da un punto di non ritorno per l’umanità tutta, in corrispondenza di una eclisse lunare, che avvererà il delirio in assunto del plot, o piuttosto lo svelerà come tale: la trasformazione didascalica del nostro globo terracqueo in piatto e i clangori dell’incombente commento orchestrale da sci-fi d’antan fanno presagire che la vicenda non narra semplicemente (?) la storia di uno psicopatico apicultore complottista con vissuto gravemente traumatico che col l’aiuto del succube cugino ritardato, rapisce l’algida, tirannica CEO di una potente casa farmaceutica per indurla a confessare di essere l’araldo di una invasione aliena in attesa di suoi ordini proprio la notte dell’eclisse di cui sopra.
Inizialmente la debbenaggine dei due improvvisati (ma, si scoprirà, lo psicopatico non più di tanto) rapitori della domenica, non favorisce la sindrome di Stoccolma nella reclusa. Tuttavia, dopo l’ennesima tortura ai danni dello scricciolo di attrice che è Emma Stone, l’aguzzino Jesse Plemons ha una illuminazione su di lei e il registro inizia a cambiare, e neanche sorprendentemente, a precipitare; si instaura tra i due un violento gioco di seduzione mirante ciascuno a conquistare l’altro svelandogli di lui verità rimosse quindi sempre più dolorose (i veri motivi per cui Plemons ha compiuto il rapimento, ad es), a convincerlo che lo conosce, lo capisce, come nessun altro lo abbia mai conosciuto, epifanie queste che porteranno a far saltare gli equilibri (e anche letteralmente le teste) dei due carnefici, incapaci di mantenere le distanze che si erano preposti dalla vittima, come la pregressa castrazione chimica a cui si erano auto indotti lasciava trasparire il timore di perdere.
E alla “vittima”, essendo effettivamente proprio il contrario di ciò, non resta amaramente che ammettere di aver rimosso (SPOILER) di non essere effettivamente umana, ma più che altro un Thanos in gessato a cui manca solo il guanto dell’infinito con cui schioccare le dita. Una allegoria, insomma, dell’impossibilità di coltivare relazioni autentiche, non sovrastrutturate, se non demolendo certezze narcisistiche in cui ci si è anche delirantemente arroccati, con tutti i rischi di frantumazione dell’io che si può intuire. Finale liberatorio…. per la natura, che torna a prendersi ciò che dalle origini del mondo le appartiene, senza tanti problemi di “coscienza”
È superfluo ribadire l’abilità chirurgica con cui Lanthimos ha impostato la sua filmografia allo scopo di dissezionare l’assurdità di ciò che la nostra società, dominata come mai nessun altra dalla suggestione, ingenera in chi la realizza; colpisce la capacità di attirare a sé almeno una musa come Emma Stone (ma anche Jesse Plemons è ormai un sodale) oltre ad altri fidi come il compositore Jerskin Fendrix (che ha scritto la musica prima che il film fosse girato, come Morricone per Leone!) con cui creare un legame ispirativo totalizzante, una identità di visione, quale (pur essendoci sempre stato, almeno tra regista e una sua musa e generalmente moglie) risulterebbe aleatorio immaginare in un opera d’arte collettiva come il cinema, almeno a tali livelli.
Genere: fantascienza, grottesco
Regia e sceneggiatura: Yorgos Lanthimos
Interpreti: Emma Stone, Jesse Plemons







