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Ah zietta bella,
mi hai lasciata da sola in una foresta di belve.
Mentre scrivo non so se guardare su in cielo o giù in terra, in direzione della parete, del tetto o del pavimento. O forse dovrei scrutare all’interno di qualche crepa nel muro o di qualche fessura della mansarda?
Possibile che per scovare una traccia di te io debba solo chiudere gli occhi e trovarti in me?
Ah zietta bella, sono stata presuntuosa nei tuoi confronti. Lo confesso. Ho pensato che sarebbe stato così facile lasciarti andare e mi sono autoconvinta che bastasse sottrarre la mia mano alla tua per superare la tua partenza. Quanto sono stata stupida! Dopo un anno in cui mi sono illusa di avercela fatta ad andare avanti, ecco che il tuo ricordo riemerge così prepotente dalla mia mente e strappa quel velo di pace che nascondeva una rabbia e una tristezza profondi.
Ah zietta bella, mi sono chiesta perché mai tu fossi ritornata; ma la verità è che sono io a non essermi mai allontanata da te. Ti ho sempre tenuta accanto, negandolo persino a me stessa, nascondendoti dietro la tenda di quella finestra che non ho più avuto il coraggio di aprire perché, in cuor mio, sapevo di averti riposta segretamente in quell’angolo.
In questi giorni, zietta bella, mi sento un tornado. Ho dentro di me una carica (auto)distruttiva che mi logora. Avrei tanto bisogno di appoggiare la mia guancia alla tua. O anche solo di stringerti una mano. Basterebbe anche un mignolo. E so che questo ciclone si fermerebbe all’istante.
Però non è possibile. Posso solo immaginarlo. E questo non mi basta. Sto provando a scriverlo, per vedere se riesco a schiaffare su questo “pezzo di carta” tutta la mia mancanza.
Zietta bella, cosa devo fare? Era così semplice vivere quando ci sedevamo su quel tuo bel divano verde e, con una tazza di caffè sempre fumante, parlavamo. Mi ascoltavi sempre. Mi capivi ogni volta, anche solo con uno sguardo. Mi guardavi solamente come una madre è in grado di fare.
Ah zietta bella, mai avrei voluto che i ruoli si invertissero e che fossi io a doverti trattare come una bambina. Sono riuscita nel mio compito, e di questo vado fiera, anche quando facevo la pagliaccia davanti a te per poi tornare a casa con il cuore a pezzi.
Cosa devo fare, zietta bella? Questa metà vuota di divano mi urla il tuo silenzio. E io sento di starmi perdendo. La corazza che mi sono forgiata si sta crepando. Mi sento come una centrale elettrica al preludio di un enorme black out. Sto dando di matto. Sto donando agli altri il potere di farmi scoppiare. Sto combattendo guerre inutili sapendo di essere disarmata contro giganti che in realtà sono mulini a vento. Possibile che io, la donna che giudicavi così sveglia, brillante e intelligente, possa cadere così in basso? Eppure, il dolore evidentemente può renderlo possibile.
Lo so, zietta bella, che se fossi qui con me mi diresti di calmarmi, di concentrare l’attenzione sui miei studi, di pensare al mio futuro, a quello che potrei fare, alla professionista che potrei diventare. È che mi sento ogni giorno sempre più schiacciata da un mondo che percepisco a me ostile. Io nel mio piccolo lotto in difesa degli ideali che considero giusti. Ma dall’altra parte c’è un esercito ben più temibile, numeroso e forte, al cospetto del quale io non sono altro che una formica. La formica è l’animale più forte del mondo, questo è vero; ma qui occorrerebbero quantomeno tante formiche quanti sono i formichieri. E io ho la sensazione che non ce ne siano così tante.
Ah zietta bella, potrei rassegnarmi alle ingiustizie umane se almeno potessi bere una tazza di caffè con te. Se il mio destino è finire tra gli oppressi, che almeno ci finissi tenendoti il braccio. Anche se nell’ultimo periodo della tua esistenza eri talmente esile che in braccio ti ci tenevo io. So di essere forte. So di avere una capacità di resilienza ammirevole. Però per una volta vorrei essere fragile. Zietta bella, sono stanca di essere una guerriera. Io non sono nata per combattere. Sono una carta velina travestita da un mattone di cemento. Ho l’animo di un poeta e la mente di un filosofo. Sono fatta per riflettere e per poetare, non per guerrigliare. Ma è colpa del mondo se mi trovo a impugnare più scudi di ferro che penne d’oca. Sarebbe giusto arrendersi? Lasciare che a vincere siano i formichieri senza nemmeno aver provato a contrastarne l’avanzata? Si può essere così vili? La resa è più nobile di fronte alla certezza della sconfitta?
Ah zietta bella, sto farneticando. Ho un’emicrania che mi martella la testa.
Zietta bella, non lasciarmi. Non ancora. Tienimi la mano. Fino a quando non riuscirò a ritrovare me stessa.
