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Uso questo posto come palestra in cui mantenere allenata la mia capacità di espressione della mia introspezione. Fuori di qui, nella vita vera, ascolto tanto e parlo poco. Le emozioni che conservo in questa specie di diario virtuale sono del tutto ignote a chi mi conosce nel quotidiano. Raramente ho trovato chi mi ascoltasse per piacere e non per dovere. Questo mi ha bloccata nella vita e mi ha sbloccata nel virtuale, dove preferisco perdere le mie parole in mezzo a quelle di sconosciuti, fondendole con le loro, sperando che possano creare, insieme, un poema collettivo, in qualche angolo del cyberspazio. Ho fatto una scelta, preferendo correre il rischio di non essere ascoltata da gente che perlomeno ignora chi io sia, piuttosto che da persone vicine. Quando ho riversato le parole accumulate, ritorno a tacere, aspettando di riaffacciarmi per riprendere il discorso laddove l’ho interrotto. Un luogo che per me è un surrogato del mondo, in cui, di tanto in tanto, ritrovo chi sono.

Ognuno è acqua e ognuno è sete.