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    Carotina Editor

    1 mese, 2 settimane fa

    A un’amica

    È molto difficile scrivere di una persona che si è conosciuta quando si era ancora dei ragazzini. La memoria fa fatica a recuperare i ricordi, i dialoghi, tanto più che bisogna scavare nella mente di una quindicenne quando ormai si è diventati adulti. Oggi voglio provarci.
    Emma. Sono trascorsi tanti anni, ho incontrato così tanta gente, eppure questo nome ritorna periodicamente a tormentarmi. Non parlerei tanto di un’ossessione, quanto di un rimorso. Mi capita spesso di pensarla, di sognarla. Emma oggi è una donna che è riuscita a raggiungere i suoi traguardi accademici e che . . . Beh, a dire la verità non so nient’altro di lei al di fuori di questo. È evidente che, in ogni caso, è un essere completamente diverso dalla piccola ragazza che non riesco a dimenticare perché è stata non solo la mia prima vera amica, ma anche la prima persona in assoluto che mi abbia detto di volermi bene e che si sia fidata di me a tal punto da raccontarmi tutti i suoi segreti, infantili come possono esserlo quelli di un qualsiasi preadolescente. E io feci lo stesso. E non mi era mai capitato.
    L’unica cosa che mi è rimasta di Emma è la nostra chat. Eravamo compagne di scuola e il primo giorno di lezioni capitammo casualmente vicine di banco. Ero troppo timida e introversa per fare amicizia, dunque trascorse del tempo prima che riuscissi a fare conversazione con lei. Quando capitó, fu l’inizio di uno dei periodi migliori della mia vita perché l’anno scolastico trascorse in un baleno tra risate, gossip, chiacchierate. Ció che rappresentó per me una vera novità fu il fatto che la nostra amicizia trapassó pure le mura dell’edificio scolastico. In passato ebbi delle persone con cui parlavo, ma il tutto si manteneva sempre nel contesto della scuola e, una volta tornata a casa, non potevo dire di avere amici.
    Con Emma fu diverso. Fortunatamente avevo un cellulare sufficientemente al passo coi tempi da permettere la messaggistica istantanea. Ed Emma mi scrisse. E mi scriveva. Spesso. Forse a cadenza quotidiana. Non ricordo pressoché nulla delle nostre conversazioni. È passato troppo tempo e, comunque, erano chiacchiere da bambine. Si parlava di professori, si spettegolava sui compagni di classe, sugli amici, sui ragazzi che attraevano. Era bello. Ci si sfogava anche, al punto che diventammo l’una la spalla dell’altra. Pensavo che la nostra amicizia sarebbe durata per sempre. Non avendo mai avuto amici, non avevo ancora sperimentato la possibilità che un rapporto finisse.
    Ho la possibilità di leggermi dall’inizio tutto. Il fatto è che non mi va di farlo. È un’epoca troppo remota e non me la sento di rivivere la ragazzina che ero. E poi non avrebbe senso. Emma non esiste più. La bambina che era non esiste più. Una traccia della sua esistenza rimane solamente nel mio ricordo. Da quello che so, abbiamo intrapreso strade totalmente opposte; abbiamo vite differenti, gusti diversi. Ora siamo due donne con niente in comune. Non so nemmeno se si ricorda di me. Ne dubito. Io ancora la penso perché ha rappresentato per me una figura importante e anche perché non ho mai del tutto spezzato i legami con la mia età infantile. Sono cresciuta, sono necessariamente cambiata; ma una parte di ciò che sono stata è ancora visibile in ciò che sono diventata.
    All’inizio di questo scritto ho fatto cenno ad un rimorso. L’amicizia tra me ed Emma finì per motivi puerili legati alla nostra età. Si era gelose delle altre amiche, si voleva essere al centro dell’attenzione. “Oggi non mi hai aspettata al bagno”. “Hai preferito trascorrere il tuo tempo con quell’altra piuttosto che con me”. Mi dispiace che un rapporto così bello sia potuto finire per delle cause così stupide. Io me ne assumo più di metà della colpa perché ad un certo punto mi sentii un po’ messa di lato e allora iniziai a rinchiudermi di nuovo in me stessa come un riccio, isolandomi, come mezzo di autodifesa per non rischiare di dover soffrire a causa della mia onnipresente sindrome dell’abbandono. La mia paura di perdere Emma contribuì enormemente a farmi perdere Emma. Per sempre. Trascorse del tempo, le dinamiche scolastiche divisero la classe in due macrogruppi, e io e Emma non ci ritrovammo dalla stessa parte.
    Diventammo delle perfette estranee e lei diventó una ragazza talmente diversa che non riconobbi più in lei quell’amica che, in un giorno d’estate, mi scrisse che mi voleva bene e mi ringraziava per esserci sempre.
    Emma. Eppure questo nome continua a riaffiorare dalla mia mente. Ho avuto altre amiche, ma nessuna, dopo Emma, mi ha più ringraziata per esserci.
    A volte mi manca. Ma non so bene come si possa sentire la mancanza di una bambina che non c’é più.
    Forse scrivere finalmente di Emma può essere un modo per lasciarla andare.

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Biografia:

Carotina

Mi chiamo Silvia e sono laureata in Lettere. La mia passione più grande, oltre alla letteratura, è la scrittura. Amo scrivere di tutto; tuttavia, i miei interessi principali vertono sul mondo dei libri e sulle discipline socio-psico-pedagogiche.

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