Formula 1: un mondo dai lati oscuri
E’ da un po’ che manco di scrivere qualcosa, in questi giorni il magico mondo della Formula 1 si sta rianimando. Non vorrei scrivere qualcosa di banale, come il fatto che a breve la Scuderia Ferrari lancerà la sua SF23, o che a Maranello hanno vinto la sfida sui nuovi costruttori 2026 o di quanto siano migliorate o meno le livree per le auto 2023.
Come molti sono solo un appassionato di motori, ma la mia occupazione (spero ancora per poco) è quella di studente di psicologia. Così ho pensato “perchè non coniugare le due cose?”.
La necessità di interventi psicologici nell’ambito automobilistico, in particolare nella massima serie, è sempre passata in sordina. Già Rosberg aveva dichiarato che, dopo la sua vittoria nel 2016, aveva avuto la necessità di intraprendere un percorso psicologico; proprio per la quantità di stress subito.
A volte ci dimentichiamo come i piloti, alla fine, sinao solo dei ragazzi che hanno sacrificato molto per arrivare dove sono ora. Proviamo a pensare, cosa facevamo noi all’età di 20 anni? Cosa fanno i piloti a 20 anni? Non è tutto oro quello che luccica!
Formula 1 e Psicologia
Siamo abituati a guardare ai piloti della massima serie come dei cyborg infallibili, come delle macchine da guerra senza sentimenti e con l’unico obbiettivo di vincere. Tuttavia, non è possibile che sia così.
Questi ragazzi spesso si trovano a fronteggiare stati depressivi, ansiosi, disturbi post traumatici da stress o disturbi dell’adattamento, disturbi del comportamento alimentare e dipendenze patologiche.
Pensiamo alla lunga convalescenza di Grosjean dopol’incidente in Bahrain, non è solamente una convalescenza di tipo fisico, quindi improntata sul recupero, ma una convalescenza psicologica, molto più complicata, dal momento che non è possibile tornare alla “normalità”, ma è necessario elaborare ed accettare ciò che è successo; in questo caso fare i conti con un trauma a tutti gli effetti e con il concetto di morte.
Inoltre, questi ragazzi, spesso, vanno incontro a disturbi alimentari, più o meno riconosciuti. E’ ovvio che meno pesa il pilota, meno pesa la vettura. Tuttavia, sottoporsi a regimi ferrei di diete e ad un esercizio fisico estremo può essere altamente rischioso.
Non solo è possibile sviluppare i classici disturbi alimetari come bulimia o anoressia, ma è possibile notare disturbi come ortoressia nervosa o esercizio fisico maladattivo; che si caratterizzano per una rigidità mentale eccessiva per ciò che riguarda l’alimentazione e la condizione fisica.
Interessante, invece, è il concetto di dipendenza patologica. Il presupposto è che tutto ciò che da piacere può essere una potenziale dipendenza comportamentale. A livello neurobiologico il cervello di questi piloti, durante il week end di gara è inondato da dopamina (neurotrasmettitore del piacere e della ricompensa) ed altri neurotrasmettitori eccitatori.
Perciò la ricerca di alti livelli di dopamina è sempre richiesta e va tutto bene se la ricerca di piacere è attuata in modo adattivo, ovvero che non comporta alcu rischio o disfunzione in abiti della vita. Più problematico è un approccio disadattivo, quando ad esempio l’ottenimento del risultato diventa l’unico ed il solo obbiettivo da peseguire nella propria vita, trascurando anche altri ambiti estremamente importanti. In qusto senso potrebbe essere più chiara la dichiarazione di Seb “Chi sono io? Sono Sebastian, padre di tre figli e marito di una donna meravigliosa”.
Valtteri Bottas vittima della competizione
Di recente Bottas ha rilasciato un’intervista a Maria Veitola dichiarando “Mi allenavo al dolore, fisicamente e mentalmente, ma la cosa mi è sfuggita di mano“. Non sappiamo a che anni faccia riferimento Bottas, ma è facile cogliere come queste parole siano rivolte al suo periodo in Mercedes.
Dichiara di non aver mai avuto una diagnosi di disturbo alimentare, ma che, tuttavia, questo tratto era presente nella sua vita. Infatti, il team a cui il pilota fa riferimento gli imponeva il peso da mantenere, anche se al prezzo della propria salute fisica e mentale.
Con molta coscienza ed intelligenza Bottas ha chiesto aiuto ad uno psicologo ed in lui ha riposto la sua fiducia. Il professionista ha definito Valtteri “un robot privo di sentimenti che vuole solo raggiungere il suo obbiettivo”.
Affermazione condivisa dallo stesso pilota che afferma “Mi ha sconcertato. Ma è vero che in quel momento non avevo altra vita che non fosse la Formula 1. Poi fortunatamente le cose sono cambiate“.
Effettivamente un cambiamento in Bottas lo abbiamo visto tutti, abbiamo visto un pilota più estroverso, più improntato a conoscere sè stesso. Infatti, solo lavorando su sè stesso e sul suo benessere potrà ritrovare il giusto slancio per lottare in pista.
Ora permettetemi un appunto personale. Per quanto vale, tutta la mia ammirazione a Bottas per il coraggio di dire le cose come stanno e di esporsi in prima persona su temi personali e delicati. Auguro alla FIA di rendersi conto al più presto di queste situazioni, in modo da porre dei limiti al disagio psichico che colpisce i giovani piloti.
Crediti foto copertina: XaviYuahanda, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons